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ci [©i] pron. e avv. — sempre atono: non ci dicono [n1n ©i d&kono]; ci dovrebbero dire [©i dovr$bbero d&re]; chi ci viene? [k& ©©i vL$ne?]; ci posso venire [©i p0SSo ven&re]; unito a un verbo anche nella grafia se enclitico: dovrebbero dirci [dovr$bbero d&r©i]; posso venirci [p0SSo ven&r©i]; Stringiamci a coorte [StrinJ#n©i a kko-0rte] (Mameli) — elis. costante davanti alle voci con e‑ del v. essere e del v. avere e anche (ma non nella scrittura) davanti a quelle del v. avere con altra voc., per il solo ci avv.: c’è sempre tempo [© H SS$mpre t$mpo]; c’era una volta [© $ra una v0lta]; non ci ha che fare [non © # kke ff#re] (meno bene non ci ha a che fare [non © # a kke ff#re]); non c’ebbe colpa [non © $bbe k1lpa]; c’ebbe però a pensare il giorno dopo [© $bbe per0 a ppenS#re il J1rno d1po] (Manzoni); antiq. davanti a essere la gf. senza elis.: Ci è da dare in tisico [© $ dda dd#re in t&@iko] (Giusti); senza lotta non ci è vita [S$nZa l0tta non © H vv&ta] (De Sanctis); quando vidi che non ci era da fidarsi [kU#ndo v&di ke nnon © $ra da ffid#rSi] (Verga) — elis. costante nella pronunzia (ma non rappresentata nella scrittura) davanti alle voci con a- o h- del v. avere secondo un freq. uso familiare, pleonastico in ogni caso e solo facoltativo, inteso a dare al verbo (averci) una più concreta evidenza: ci aveva ragione lui [© av%va raJ1ne l2i]; non ci ho voglia d’uscire [non © q vv0l’l’a d ušš&re]; che ci hai sulla testa? [ke ©© #i Sulla t$Sta?]; Manina chiusa, che nel sonno grande Stringi qualcosa, dimmi cosa ci hai! Cosa ci hai? cosa ci hai? Vane domande [man&na kL2Sa, ke nnel S1nno gr#nde Str&nJi kUalk0Sa, d&mmi k0Sa © #i! k0Sa © #i? k0Sa © #i? v#ne dom#nde] (Pascoli) — elis. costante davanti alle voci del v. entrare nel senso di «aver che fare» (entrarci, err. c’entrare e centrare): non c’entra nulla, c’entra poco, c’entra per modo di dire, c’entra come il cavolo a merenda; fate pure ma noi non c’entriamo; in che maniera c’entrerebbe? — elis. facoltativa per il ci avv. davanti a e- o i‑ in ogni altro caso (comprese le voci di entrarci «entrare lì»), e per il ci pron.: c’entrò o ci entrò, non c’entrare o non ci entrare (imper., anche non entrarci: err. non centrare); c’impose o ci impose, c’invita o ci invita, non c’è dato sapere o non ci è dato sapere, c’eravamo tanto amati o ci eravamo tanto amati — freq. la distinz. nella gf., in contesti apparentem. uguali, tra ci pron. non apostrofato (chi ci è vicino [ki ©© $ vvi©&no] «chi è vicino a noi») e ci avv. apostrofato (chi c’è vicino [id.] «chi è lì vicino»); freq. pure la distinz. nella pn., o almeno in una pn. più accurata, tra ci pron. senza elis. dell’-i (chi ci ha detto [k& ©©i a dd%tto o k& ©© a dd%tto] «chi ha detto a noi») e ci avv. con -i eliso (chi ci ha perduto [ki ©© # pperd2to] «chi in questo ha perduto») — non rappresentata dalla scrittura l’elis. davanti a vocali diverse da e- o i-; es.: non ci ho tempo [non © q tt$mpo], chi ci avrebbe pensato? [k& ©© avr$bbe penS#to?], che ci azzecca? [k% ©© aZZ%kka?] (non c’ho, c’avrebbe, c’azzecca, gf. frequenti in scritture trascurate, dove sembrano suggerire una pn. velare del c come in poc’anzi [pqk #nZi], Marc’Antonio [mark ant0nLo], e in tutti i modi sottintendono, e non dovrebbero, una pn. diversa da quella di dieci anni [dLH© #nni]) — ce (non ci) davanti a la, le, li, lo, ne (es.: ce la mette, ce ne mette); ma sempre ci (non ce) davanti ad altri pron. atoni (es.: ci si mette, ci s’accorge, ci se ne mette, ci se n’accorge: non ce si…, ce s’…, ce se…) — tronc. poet. cel, cen, per ce lo, ce ne — cfr. avere; entrare

DOP

Redatto in origine da
Bruno Migliorini
Carlo Tagliavini
Piero Fiorelli

 

Riveduto, aggiornato, accresciuto da
Piero Fiorelli
e Tommaso Francesco Bórri

 

Versione multimediale ideata e diretta da
Renato Parascandolo