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Struttura del dizionario

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Il «Dizionario d’ortografia e di pronunzia» è stato pubblicato finora in quattro fra edizioni e ristampe, dal 1969 al 1999, che hanno tutte avuto in comune due caratteri formali: il primo, d’essere solo a stampa; il secondo, d’essere in un volume solo.

Con la presente edizione del 2009 qualcosa d’essenziale è cambiato. Il titolo stesso s’è allungato di tre parole, di tre aggettivi pieni di significato. Due di questi, «italiano» e «multilingue», confermano e fanno più esplicita la vocazione che fin dal primo giorno è stata propria di quest’opera, a illustrare congiuntamente parole e nomi di nascita antica e recente, di formazione popolare o letteraria, di circolazione piuttosto orale o piuttosto scritta, che occhi italiani hanno occasione di lèggere e orecchi italiani d’ascoltare. Ma col moltiplicarsi delle unità lessicali negli ultimi decenni, nella nostra come in ogni altra lingua di cultura, e poi con l’allargamento degl’interessi e delle curiosità di conoscenza che un mondo globalizzato porta fatalmente con sé, e infine con la crescita esponenziale delle fonti d’informazione che non solo permette ma, si può dire, costringe a trovare sempre nuove risposte a sempre nuove domande, il contenuto del «Dizionario» è cresciuto al punto d’imporre una divisione in due volumi, «italiano» il primo e «multilingue» l’altro; fermo restando che ognuno dei due si rispecchia nell’altro e vi trova in tantissimi punti il proprio completamento. Si può avvertire fin d’ora che tanto le nude voci di rinvio (contraddistinte da una freccia, «→») quanto i richiami di voci in qualche modo collegate (contraddistinti dall’abbreviatura «cfr.») rimandano a lemmi del «Dizionario» di cui non è indicato, ma solo si può intuire dalla forma, se appartengono al medesimo volume ovvero all’altro.

Il terzo aggettivo, «multimediale», parla di qualcosa che nelle edizioni precedenti mancava. Le voci del «Dizionario» non sono soltanto leggibili nella pagina stampata, ma possono anche esser lette sullo schermo d’un elaboratore elettronico, e confrontate fra loro con procedimenti informatici, e scelte e classificate in più modi secondo i programmi che il sito www.dizionario.rai.it mette a disposizione. E d’ogni voce del «Dizionario», non nel suo testo completo ma in quelle sue parti essenziali che sono le trascrizioni fonetiche, si può in aggiunta ascoltare, cliccando nei punti opportunamente segnalati, la lettura ad alta voce, registrata da un vario numero di lettori per l’italiano e da singoli lettori per le altre lingue.

Qui abbiamo davanti un volume a stampa, che pur limitato all’italiano supera d’assai nella sua mole la mole dell’unico volume, senza questo limite, in cui consistevano le edizioni precedenti.

Tra voci del lessico ordinario, tecnicismi specifici di parti­colari discipline, nomi propri di persone, di famiglie, d’istituzioni, di loca­lità, il «Dizionario d’ortografia e di pronunzia» registra un numero di vocaboli che nelle precedenti edizioni a stampa era di circa centomila, e che nella nuova edizione multimediale è già più alto pur nei limiti del solo volume «italiano».

Sono numeri alti, forse i più alti che fossero compatibili con una mole non ingombrante e con una presentazione non astrusa, di vocaboli d’ogni sorta, italiani o no, in ogni modo usati con qualche frequenza o usabili con qualche probabilità in contesti italiani. C’è posto, in questo «Dizionario», per parole d’uso quotidiano come avere ed essere, questo e quello, giorno e notte, e per voci e usi d’un solo autore, come il dantesco appulcrare di parole non ci appulcro; c’è posto per un ar­caismo come imbolare e per un neologismo come poteva essere nel 1969 matusa o come può essere nel 2009 teodem, per un dialetta­lismo plebeo come magnaccia e per uno snobistico forestierismo come café-society, per una parola familiare come micio e per un termine dòtto come limnotrago, per una frase storica come in hoc signo vinces e per una locuzione tra scherzosa e gergale come mac pi cento, per il nome delle Izvestija o dell’Unter den Linden e per il nome dello Stabat Mater, di Corcira, di Piove di Sacco, di Scoronconcolo.

Di tutte queste voci il «Dizionario» dà soltanto, come dice il suo stesso titolo, l’ortografia e la pronunzia. Non ne dà i significati, se non in pochi casi in cui la loro sommaria indicazione, senza pretese di completezza né di precisione tecnica, possa servire a far riconoscere l’uno dall’altro diversi vocaboli d’uguale scrittura. Così, mentre di banana o di susina si dice solo che sono sostantivi femminili, di pesca (con l’-e- aperta) si dice in più che è nome di «frutto», cioè se ne dice quel tanto che basta per di­stinguere a colpo la parola dall’altra omografa (ma con l’-e- chiusa) che si­gnifica invece «il pescare» o «il pescato». Le indicazioni sommarie dei significati sono racchiuse tra virgolette; se i significati poi sono più d’uno ma la parola è una sola, come appunto nel caso di pesca [p%Ska] per «il pescare» e «il pescato», sono separati fra di loro soltanto da un punto e virgola; in altri casi invece, come quello di sceriffo «magistrato britan­nico o americano» e di sceriffo «nobile mussulmano», che sono due voci d’origine e storia diversa, coincidenti solo per caso nella grafia e nella pronunzia, le virgolette si chiudono dopo il primo significato e si riaprono per il secondo.

DOP

Redatto in origine da
Bruno Migliorini
Carlo Tagliavini
Piero Fiorelli

 

Riveduto, aggiornato, accresciuto da
Piero Fiorelli
e Tommaso Francesco Bórri

 

Versione multimediale ideata e diretta da
Renato Parascandolo