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a [a+] prep.

La preposizione a (da non confondere con a nome della lettera, con a’ variante della preposizione ar­ticolata ai, con à variante grafica della voce ver­bale ha, con a congiunzione, con a preposizione latina: tutte voci registrate sùbito prima o sùbito dopo) ha una pronunzia che la trascrizione fonetica rende col segno della vocale a seguìto da una cro­cetta: a+.

— non ha

La grafia ha è, per questa parola, un errore.

— es.: a lato [a ll#to] (anche allato [id.]); a senso [a SS$nSo] (invece a’ sensi [a S$nSi]); a volte [a vv0lte] (invece alle volte [alle v0lte]); a capofitto [a kkapof&tto]; pover’a te [p0ver a tt%]; da parte a parte [da pp#rte a pp#rte]; a goccia a goccia [a gg1©©a a gg1©©a]; a mano a mano [a mm#no a mm#no] (meglio che mano a mano); a poco a poco [a pp0ko a pp0ko] (meglio che poco a poco)

La crocetta messa a esponente nella trascrizione fonetica sta a significare che nella pronunzia della frase la preposizione a, seguìta senza pausa da una parola che cominci per conso­nante, fa raddoppiare il suono di questa.

Ne offrono facili esempi, tra gl’infiniti che se ne potrebbero portare, alcuni modi di dire dell’uso comune, qui accompagnati tutti da una trascrizione fonetica (in corsivo, tra parentesi quadre) che ne mostra la pronunzia.

Nelle trascrizioni si osserverà principalmente, appunto, che il suono delle consonanti iniziali di parola precedute dalla preposizione a è sempre rafforzato (o lungo o doppio che dir si voglia), né più né meno del suono di quelle consonanti, interne alla parola, che sono doppie nella stessa grafia ordinaria: così, in a goccia a goccia [a gg1©©a a gg1©©a] non c’è nessuna differenza, quanto alla forza e alla durata dell’articolazione, tra i due g- iniziali e i due -©- interni.

Dalle stesse trascrizioni, e dal loro confronto con la grafia ordinaria (in carattere grassetto), si possono poi ricavare altri particolari sulla pronunzia di singole parole (particolari che il lettore può trovar confermati, e talvolta precisati ed esemplificati, sotto le rispettive voci del presente «Dizionario»): si noterà, per esempio, che l’-e- tonica del sostantivo senso ha suono aperto, mentre l’-e di te è chiusa; che volta e povero hanno un -o- aperto, goccia un -o- chiuso; che in goccia l’-i- è muto; si noterà in pover’a te l’elisione di povero (obbligatoria in questa e simili locuzioni); s’osserverà nella trascrizione di da parte a parte che la preposizione da ha il medesimo potere rafforzativo dell’a (com’è infatti confermato sotto da dalla trascrizione da+, con la crocetta).

La locuzione a lato si può scrivere anche unita, e in tal caso vuole il raddoppiamento grafico della lettera l, conservando la medesima pronunzia.

Se la preposizione a è rafforzativa (nel senso ora spiegato), non rafforza invece la forma a’, variante soprattutto toscana e letteraria della preposizione articolata ai (come non rafforzano, in genere, quelle forme che derivano da riduzione d’un dittongo discendente): così, a’ sensi si pronunzia a S$nSi, senza raddoppiamento dell’s-. Così pure, si ha il raddoppiamento sintattico in a volte, ma non nell’espressione sinonima alle volte.

Si nota ancóra, per incidenza, che a mano a mano e a poco a poco sono preferibili a mano a mano e poco a poco; e lo stesso discorso si potrebbe fare per altre locuzioni, in cui l’omissione della prima di due a successive è dovuta a imitazione, relativamente recente, d’analoghe locuzioni francesi (la prima espressione ha peraltro, come si può lèggere alla voce mano, una variante più svelta, ugualmente frequente e corretta, man mano).

— radd. sint. espresso dalla scrittura nei composti: es. acché, affinché, addosso, ammodo, Castellammare, Pontassieve

Il raddoppiamento sintattico (come si chiama il fenomeno fonetico già osservato) non è di regola espresso dalla grafia comune. Fanno eccezione le parole composte, come il già rammentato allato (variante facoltativa di a lato) e le voci qui citate (ma gli esempi si potrebbero facilmente moltiplicare).

— spesso ad davanti a voc., spec. davanti ad a- (raro in ogni caso nell’uso parlato): ad andare [ad and#re], ad Alfredo [ad alfr%do], ad usura [ad u@2ra]; e ad altri (non ed a altri, tanto meno ed ad altri); in ogni caso, senza stacco tra il -d eufonico e la vocale seguente (quindi ad altri e adatti con uguale sillabaz., ad empiere e adempiere con identico suono, viceversa ad anno [ad #nno] ben distinto da a danno [a dd#nno])

Seguìta senza pausa da una parola che co­minci per vocale, la preposizione a può presentarsi nella cosiddetta forma eufonica ad (o meglio, può riprendere il -d che aveva in latino, quello stesso -d che, assimilandosi a una consonante iniziale se­guente, come s’è visto, dà luogo al raddoppiamento sintattico); l’uso del -d eufonico è più frequente se la parola che segue comincia per a- (così come in ed e od, davanti alle iniziali e- e o- rispettivamente); di questo fenomeno, che a ogni modo riguarda più che altro la lingua scritta, perché nel parlare si fa del -d eufonico un uso assai parco, si possono ve­dere esempi in espressioni come, fra le tante pos­sibili, ad andare, ad Alfredo, ad usura, con le loro trascrizioni fonetiche ad and#re, ad alfr%do (-e- ­chiusa), ad u@2ra (-s- sonora).

Quando la preposizione a è preceduta da un’altra particella che può prendere il -d cosiddetto eufonico (la congiunzione e oppure la congiunzione o), la forma eufonica è possibile per la sola a: dunque, e ad altri, ma non ed a altri, e tanto meno un fortemente cacofonico ed ad altri.

Si mette poi in guardia da una pronunzia e sillabazione falsa della forma ad: così, in ad altri il -d fa sillaba con l’a- (a-dal-tri), e ha quello stesso grado tenue d’articolazione che ha il -d- in adatti (a-dat-ti); similmente, ad empiere e adempiere hanno pronunzia e sillabazione identica; d’altro canto, il -d di ad anno [ad #nno] è nettamente distinto, per il suono, dal d- di a danno [a dd#nno] (scempio quello, doppio questo).

 

— quasi sempre ad in casi come ad esempio [ad e@$mpLo], ad essi [ad %SSi], ad onta di… [ad 1nta di…], ad opera di... [ad 0pera di...], ad ottenere che… [ad otten%re ke…], ad uso di… [ad 2@o di…]

Ci sono poi diversi casi in cui non si dice di regola a, essendo di pram­matica la forma ad (e si tratta, com’è facile intuire, di modi di dire più comuni nello scritto che nel parlato): così, ad esempio [ad e@$mpLo] (parlando, si direbbe piuttosto per esempio), ad essi [ad %SSi] (parlando, a loro, come a lui, a lei piuttosto che ad esso, ad essa), ad onta di... [ad 1nta di...] (parlando, a dispetto di..., quando pure l’iperbole sia giustificata), ad opera di... [ad 0pera di...] (parlando, piuttosto per opera di…), ad ottenere che... [ad otten%re ke...] (come questa, altre espressioni dello stile burocra­tico, dove ad vale «allo scopo di»), ad uso di... [ad 2@o di...] (espressione anche questa soprattutto dell’uso burocratico).

— invece a uso… (senza di…) per «a mo’ di…» (fam.): a uso camicia [a 2@o kama] (Collodi)

Invece la locuzione del parlar familiare a uso..., col significato di «a mo’ di...», non solo è priva della preposizione di ma non vuole mai il -d eufonico: a uso camicia, si legge, per esempio, in un passo del «Pinocchio» di Carlo Lorenzini detto il Collodi (1826-90), passo di cui si dà la trascrizione fonetica come per tutti gli esempi d’autore citati nel «Dizionario» (anche se nel caso in esame la trascrizione non offre nulla di più di quanto non si possa lèggere sotto le singole voci al loro posto alfabetico).

— sempre ad nella locuz. ad ora ad ora (ant. o lett. «di quando in quando»): cfr. ora

Il -d eufonico è costante (non solo più frequente) nella locuzione avverbiale ad ora ad ora, che significa «di quando in quando» ed è propria della lingua antica (cioè dei primi secoli) e di quella letteraria (nella quale, come spesso accade, s’è conservata a lungo: fino almeno al Pascoli e al D’Annunzio). Per altre notizie su questa locuzione si rimanda alla voce ora (sostantivo), dove si lègge, e si trovano esempi, del possibile troncamento del secondo ora (ad ora ad or).

— quasi sempre ad nella locuz. dare ad intendere «far credere (il falso)», diversa da dare a intendere «far intuire (il vero)»

Il -d eufonico permette poi di tener distinte, almeno di regola, due locuzioni di valore ben diverso, come dare ad intendere (...una cosa per un’altra) e dare a intendere (...come stanno veramente le cose).

— sempre a (meno bene ad) davanti al gruppo iniz. ad- (o anche ed-, id-, od-, ud-): a Adolfo [a ad0lfo], a Udine [a 2dine]; così pure, a (non ad) davanti a h- aspirata di nomi stranieri: a Helsinki [a h$lSijki]

Quando la vocale ­iniziale della parola successiva è seguìta da un -d-, si giudica in generale meno corretto l’uso di ad e si con­siglia di scrivere sempre a (considerato che in questo caso vengono meno le ragioni eufoniche, anzi i due d vicini produrrebbero cacofonia): quindi, a Adolfo [a ad0lfo] (meno bene ad Adolfo), e, a maggior ragione, a Udine [a 2dine] (meno bene ad Udine).

Allo stesso modo, e in forma più netta, si raccomanda di scrivere sempre a davanti a h- aspirata di nomi stranieri: quindi, a Helsinki [a h$lSijki] (giacché questa è la pronunzia finnica) e non ad Helsinki (dove sarebbe sottintesa una pronunzia $lSijki, priva di giustificazione).

— cfr. ai; a posteriori; a priori

Per trovare, infine, altre indicazioni sull’uso della preposizione a, si possono consul­tare le voci ai (dove appunto è menzionato, ma non approvato, l’uso del semplice a in luogo del più corretto a’, cioè ai, nelle locuzioni burocrati­che a’ sensi di..., a’ termini di...), a posteriori e a priori (dove si nota, e insieme si sconsiglia, una frequente confusione tra a preposizione italiana e a preposizione latina, con conseguenze sulla pronunzia di quelle due locuzioni).

   

DOP

Redatto in origine da
Bruno Migliorini
Carlo Tagliavini
Piero Fiorelli

 

Riveduto, aggiornato, accresciuto da
Piero Fiorelli
e Tommaso Francesco Bórri

 

Versione multimediale ideata e diretta da
Renato Parascandolo