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L’inglese appartiene alla famiglia germanica delle lingue indoeuropee, ma il suo lessico ha ricevuto apporti massicci dal francese e dal latino. È non solo la lingua delle isole britanniche, degli Stati Uniti, del Canadà, dell’Australia e della Nuova Zelanda, ma anche di quei paesi (oggi per lo più membri del Commonwealth) che prima della seconda guerra mondiale erano domìni o colonie britanniche: tra gli altri, di Malta (colonia dal 1800 al 1964), dove s’affianca nell’uso ufficiale al dialetto locale, che dal 1934 ha soppiantato l’italiano. È inoltre conosciuto e usato da un gran numero di persone di altri stati, tanto che tra le lingue d’uso internazionale nelle relazioni commerciali, turistiche, diplomatiche, scientifiche e, in genere, culturali esso occupa senza dubbio il primo posto.
Pronunzia modello è considerata quella dei parlanti cólti di Londra e dell’Inghilterra meridionale (qualcuno usa la formula «King’s English», cioè «inglese del re», oppure parla di «inglese di Oxford»; pure frequente è il termine «received pronunciation», «pronunzia ricevuta», ossia «accolta, accettata»). Fuori d’Europa, si sentono pronunzie più o meno diverse, fra cui va principalmente ricordata quella (a sua volta non molto uniforme) degli Stati Uniti. Questo «Dizionario» registra anche un buon numero di pronunzie locali (americane, scozzesi, ecc.) di toponimi e cognomi, sempre però inquadrandole nel sistema fonematico e fonetico dell’inglese britannico tipo.
La grafia inglese rappresenta molto imperfettamente la pronunzia, non essendosi adeguata se non in minima parte ai radicali mutamenti che questa ha subito negli ultimi secoli. Non basterebbero dieci pagine per elencare le regole e le eccezioni di pronunzia in rapporto alla grafia: tanto meno le poche indicazioni che qui seguono.